La realtà fenomenica è un caleidoscopico gioco di immagini, suoni, forme. La coscienza non ancora risvegliata è continuamente identificata nel gioco del Samsara. La Meditazione è la soglia da varcare per accedere ad uno stato di coscienza libero dalle identificazioni.
Samsara, fenomeni, trasformazione, impermanenza, Meditazione, Vera Natura, Risveglio, Samadhi significano ben poco per chi non è interessato ad andare più in profondità in se stesso; ed è giusto che sia così. Ognuno deve essere libero di scegliere il proprio percorso.
Per coloro, invece, che sentono un anelito alla ricerca della Verità, nessuna via di indagine dovrebbe essere preclusa. All’interno del panorama delle vie di ricerca, lo Yoga e la Meditazione non sono l’unica via, ma chi sente “amore” per esse dovrebbe cercare di conoscerle al meglio delle proprie possibilità.
Innanzitutto si deve trovare una buona guida, praticare le tecniche consigliate, studiare, riflettere liberamente sulle cose apprese, armarsi di pazienza e perseveranza. Il percorso può essere più o meno lungo, ma è pieno di meravigliose scoperte.
Per chi si dedica allo studio e alla pratica dei fondamenti dell’antica via dello Yoga, può essere un dono impareggiabile la comprensione che alla base di tutta la sofferenza umana vi è l’ignoranza di cosa siamo veramente. Ci siamo identificati con le nostre personalità, coi nostri ruoli sociali. Ci comportiamo come degli attori, sul palcoscenico della vita, e ci siamo persi nel personaggio interpretato.
Per prendere coscienza di questa condizione, naturalmente, non si deve accettare ciecamente le opinioni, i dogmi, i dettami di qualcun altro; quanto, piuttosto, seguire una via sperimentale, che giorno dopo giorno ci emancipa da una condizione di annebbiamento, confusione, identificazione; donandoci chiarezza, ordine, libertà dai ruoli, ampio respiro.
Nella sua accezione più elevata, chiamata Meditazione senza punti di appoggio, cioè senza nulla in particolare su cui essere concentrati, la Meditazione andrebbe praticata seduti in Siddhasana, o nella posizione del loto, Padmasana; si dovrebbe avere la colonna vertebrale ben diritta, il collo ben allungato, col mento leggermente tirato indietro. Lasciando andare ogni preoccupazione, si dovrebbe semplicemente rimanere presenti, attenti, senza distrarsi.
All’inizio, l’attitudine interiore è quella dello spettatore, il Testimone, che osserva senza cadere nelle identificazioni coi pensieri, le emozioni o le sensazioni fisiche che possono insorgere. Seduti, in silenzio, immersi nella propria bellezza, con gli occhi chiusi o semichiusi, osservare la Coscienza con la Coscienza. Quest’ultima indicazione può sembrare un gioco di parole, ma non lo è; si tratta semplicemente di mettersi dalla parte di colui che è consapevole, di colui che osserva, dietro gli occhi; di colui che sente, che percepisce.
Al meditante, viene consigliato di stare attenti a non cadere nei pensieri o negli oggetti percepiti. Un pensiero arriverà, poi passerà, lasciamolo andare. Non facciamo nulla per non farlo venire; non cerchiamo di trattenerlo. I pensieri vengono paragonati alle nubi, la propria coscienza allo spazio infinito, il testimone al Sé che osserva questo spettacolo; le nubi arrivano poi scompaiono, ma la Coscienza limpida e trasparente, in cui esse si muovono, non viene oscurata dalle nubi. L’essere, quando si identifica coi pensieri invece, può essere momentaneamente oscurato.
Il Testimone e la Coscienza non sono la stessa cosa.
La Coscienza sta oltre il Testimone.
Ma stabilire il Testimone è il primo passo importante; ne seguiranno altri.