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Il piacere di esistere

Vi è un momento, nella vita di chi pratica la meditazione, in cui si sperimenta intensamente il piacere di esistere; di esistere al di la’ dei sensi, dei pensieri, perfino delle comuni emozioni: un momento di pura presenza.

Da quel momento in poi, la vita della persona benedetta da una simile esperienza, acquisisce una qualità diversa, più intensa, più pregnante.

Non si può parlare della Meditazione senza parlare del piacere; il piacere sottile e delicato che si prova quando, seduti in Siddhasana o in Padmasana, le caotiche fluttuazioni della mente finalmente si placano; allora, immersi nella propria bellezza, si entra nell’eterno presente, senza spazio e senza tempo.

Se vogliamo fare un paragone, è come entrare nello spazio di quiete nell’occhio del ciclone; il meditante si immerge nella pace, nel silenzio, in una calma presenza, mentre tutto intorno a lui vortica furiosamente.
Col tempo, e con l’esperienza, egli imparerà a rimanere sempre più in quello stato, anche mentre cammina, parla, mangia, lavora; il piacere di esistere diverrà sempre più una costante, nella sua vita. Certo, per molto tempo la tentazione di fuggire, di andarsi ad isolare, sarà molto forte in lui. La sua sensibilità accresciuta verrà sovente ferita dal caos di suoni e immagini che lo circondano, frutto della civiltà moderna: la civiltà dei rumori.

Ma egli sente di far parte del mondo, sente che non è giusto vivere egoisticamente la propria condizione benedetta. Decide allora di rimanere, anche se non riesce proprio ad immaginare che utilità può avere, la sua presenza, per gli altri.
Il meditante comincia così a vivere delle strane alternanze di umore, nel vedere i propri simili che si affaccendano intorno a cose di poco conto. Egli li vede sempre distratti, arrabbiati, lamentevoli, confusi, eccitati; le scene che si presentano ai suoi occhi lo fanno spesso sorridere…altre volte gli procurano dolore.
Il suo cuore che, pian piano, si è schiuso alla compassione, palpita e gli suggerisce di fare qualcosa, ma cosa? L’esempio stesso della sua vita, passa tranquillamente inosservato agli occhi degli altri, nessuno si è accorto di nulla. Egli prova a parlare a qualcuno, ma le sue parole cadono nel vuoto; le sue soluzioni appaiono troppo semplici per essere credute efficaci, e poi ognuno ha già la sua soluzione, peccato che non funziona.
Tutti coloro che frequentano il meditante, sono talmente distratti che neanche si accorgono che lui è l’unico a non lamentarsi per le sue faccende personali; e se qualcuno lo ha notato avrà pensato che è un po’ scemo o irresponsabile. Il meditante comprende i loro pensieri, e se la ride sotto i baffi.
Egli ha imparato l’arte della pazienza quindi, come il protagonista di Siddharta, il romanzo di Hermann Hesse, decide di sedersi sulla sponda del fiume ad aspettare che i tempi siano maturi, e nel frattempo affida alla corrente del fiume messaggi in bottiglia; chissà che qualcuno più a valle…..

 

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