Quali possono essere gli effetti dello stress sulla nostra salute? A questa domanda il lettore troverà risposta in questo capitolo che si propone di presentare i disturbi più comuni derivati da una reazione fisiologica eccessiva e/o prolungata nel tempo.
Si è visto, nel secondo capitolo, come ogni qual volta una persona o non sa come affrontare o affronta con scarso successo uno o più eventi stressanti mantiene attiva la sola risposta psicobiologica e scatena nel suo organismo un sovraccarico di energia inutilizzata per inibizione della risposta comportamentale. Ciò si manifesta con una coorte di sintomi fisiologici, come ad esempio sudorazione, respiro corto o irregolare, palpitazioni, tensioni muscolari, tensioni, mal di testa, disturbi gastrointestinali, caratterizzati da uno spiacevole stato di tensione protratto nel tempo, a volte fluttuante, che fa generalmente riferimento al concetto di ansia. Quasi tutte le psicopatologie considerano l’ansia come una loro caratteristica, trasversalmente presente, ma tra la categoria diagnostica denominata “disturbi d’ansia” si riscontrano, quali effetti di eventi stressogeni, il “disturbo di attacchi di panico” (v. capitolo XXIII), l’ansia sociale (v. capitolo XXIV), le “fobie”, quali condotte evitanti verso oggetti o situazioni , “l’ansia generalizzata” (eccessive preoccupazioni per una pluralità di eventi ed attività e conseguente difficoltà di controllare la preoccupazione, percezione di agitazione, irritabilità, irrequietezza, difficoltà di concentrazione, stanchezza) ed il “disturbo ossessivo compulsivo” (idee ricorrenti e persistenti, sotto forma di pensieri ed immagini, percepite come intrusive ed incontrollabili – ossessioni – che causano ansia o disagio marcati; esse si connettono funzionalmente ad azioni ripetitive di tipo ritualistico o di controllo, eseguite sotto l’influsso di un impulso irresistibile nel tentativo di attenuare i sintomi d’ansia prodotti dalle ossessioni e dalle compulsioni) .
La persona sofferente di una sintomatologia che da acuta si cronicizza cerca di porre in essere una serie di comportamenti atti a disattivare l’ansia cronica quali la fuga o l’evitamento degli eventi temuti, lo sviluppo di aggressività (di autodifesa, predatoria o sessuale) direttamente verso le persone o scaricata sulle cose, l’assunzione di sostanze tossiche apparentemente innocue come psicofarmaci, alcol (v. capitolo XXXI), nicotina (v. capitolo XXXII), caffeina oppure anche l’utilizzo strumentale della sintomatologia da distress per ottenere vantaggi altrimenti difficilmente ottenibili. Tali comportamenti, comunque disadattivi, se immediatamente possono anche essere utili nell’affrontamento di una situazione complessa, ripetuti nel tempo possono risultare fallimentari dando origine a numerose patologie del comportamento come i tics, i rituali, i pensieri e le immagini intrusive, le fobie, vari disturbi di personalità (v. capitolo XXXVI), disturbi del controllo degli impulsi, come ad esempio il gioco d’azzardo patologico (v. capitolo XXXIII), la tricotillomania (strappamento ricorrente di capelli o peli) o il sesso irresponsabile oppure anche un maladattivo utilizzo di internet (v. capitolo XXXIV), l’abuso e la dipendenza da sostanze ed i “disturbi dell’alimentazione”.
Altro e più immediato esito nocivo è la formazione di disturbi così detti psicosomatici per l’attivazione costante di tessuti, organi e apparati a logoramento chimico e meccanico. Tali disturbi vengono, con maggior precisione scientifica, chiamati dai clinici “somatoformi”, una classificazione dove sono presenti sintomi che fanno pensare ad una condizione medica generale, ma invece non paiono giustificati da una accertata causa organica. Questa particolare sintomatologia non organica, ma funzionale, colpisce solitamente l’apparato più vulnerabile della persona che subendo distress viene logorato per durata, intensità e frequenza. Le aree di norma interessate sono quella dermatologica dove riscontriamo le più comuni affezioni della pelle, dalla più diffusa dermatite seborroica, all’antiestetico herpes, alle verruche, al fastidioso prurito psicogeno, solitamente anale e vulvare, a certe forme di orticaria, all’iperidrosi funzionale, fino alla tanto detestata psoriasi; l’area cardiorespiratoria dove le sintomatologie più diffuse sono l’ipertensione essenziale, l’angina pectoris[1], l’iperventilazione[2] e l’asma. Altro apparato coinvolto è quello gastrointestinale le cui sindromi più riscontrate sono il colon irritabile, la dispepsia (cattiva digestione) funzionale, la diarrea, la stipsi, il meteorismo, gastriti senza causa organica ed “ulcere da stress”(gastriche, duodenali ed esofagee) dovute all’aumento della secrezione acida e diminuzione di motilità e della produzione di muco gastroprotettivo per eccessiva attivazione dell’asse ipofisi – surrene. Inoltre vi può essere l’interessamento dell’apparato genitourinario i cui disturbi somatico funzionali riguardano in particolare il dolore pelvico, l’esacerbazione dei disturbi mestruali e, sessualmente, vari casi di disfunzione erettile (già impotenza funzionale), disorgasmia (difficoltà a raggiungere l’orgasmo) e basso desiderio sessuale. Altri disturbi funzionali sono gli acufeni (ronzii o sibili auricolari originati da elevato livello d’ansia) alcune forme di cefalea, la “fibromialgìa da stress” e alcuni disturbi del sonno. Infine il più tristemente noto tra i disturbi cardiovascolari conseguenti a distress è l’infarto.
Qualora ci sia stata effettiva esperienza di un evento stressante identificabile e gli spiacevoli effetti psicofisiologici dovuti all’attivazione prolungata del programma psicobiologico di fronteggiamento permangano nel tempo interferendo significativamente con il funzionamento sociale ed occupazionale della persona allora probabilmente il soggetto potrebbe essere affetto da tipici disturbi da stress come il “disturbo acuto da stress”, il “disturbo post traumatico da stress” e il “disturbo dell’adattamento”.
Si diagnostica un disturbo acuto da stress quando la persona sia stata esposta ad un fattore stressante estremo come ad esempio eventi minaccianti l’integrità fisica personale, o di altre persone con cui si è in stretta relazione, tipo morte[3], lesioni o altro danno e l’abbia vissuto imponentemente. Esempi di tali fattori possono essere, tanto per citarne qualcuno, i disastri naturali, gravi incidenti automobilistici, l’esperienza carceraria, una rapina, un rapimento, violenza sessuale, morte e malattia grave. I sintomi presenti durante l’evento durano almeno due giorni e permangono al massimo per un mese dall’esposizione all’evento traumatico. Inoltre l’evento viene persistemente rivissuto e vengono evitati stimoli associati al trauma. Se i sintomi durano più di un mese allora può essere presa in considerazione la diagnosi di disturbo post traumatico da stress. Nel caso invece in cui l’episodio stressante non sia stato particolarmente grave oppure nel caso in cui pur essendo stato minaccioso per la vita i sintomi non sono particolarmente gravi e durano al massimo sei mesi dall’evento si diagnostica un disturbo dell’adattamento.
Inoltre eventi stressanti quotidiani, da soli o talvolta associati all’azione di stressors acuti ed improvvisi (life events) comportanti una perdita (licenziamento, separazioni, lutti, o altro di simile) possono scatenare una malattia mentale (v. Cap. XXX) con grave alterazione del tono dell’umore o con comparsa di allucinazioni (percepire cose che altri non vedono o non sentono) e deliri (false convinzioni o credenze personali fermamente sostenute e non condivise dalla maggior parte delle persone). Il meccanismo in base al quale si può scatenare una malattia mentale fa riferimento al modello cognitivo – comportamentale che comporta l’interazione tra gli eventi stressanti, la vulnerabilità personale e ridotte abilità sociali.
La vulnerabilità personale, come concetto psicobiologico, è una predisposizione in parte ereditaria, geneticamente trasmessa, ed in parte acquisita in seguito a traumi della nascita, malattie infettive o virali, presenza di compromissioni neurologiche o neuropsicologiche, traumi cranici encefalici, privazioni fisiche o interpersonali. Probabilmente essa si associa ad alterazioni metaboliche di alcuni neurotrasmettitori (sostanze chimiche cerebrali autoprodotte) come la dopamina per le schizofrenie, gli ormoni tiroidei, la serotonina e la noradrenalina per i disturbi dell’umore. Inoltre la vulnerabilità biopsichica è riferibile a caratteristiche osservabili quali la instabilità emotiva intesa come alta reattività allo stress, la facile comparsa di senso di frustrazione, l’eccessiva eccitabilità o “ipersensibilità” con tendenza ad avvertire facilmente minacce alla propria autostima e conseguentemente a sviluppare assunti disfunzionali sul sé (“sono un fallito”) e a compensare gli insuccessi con ripetute fantasie di successo.
Secondo il modello “stress/vulnerabilità/abilità sociali”, determinati stressors, per lo più familiari (stress familiare), possono causare un disturbo mentale quando la persona possiede una alta vulnerabilità psicobiologica e contemporaneamente è dotata di un basso repertorio di competenze sociali per risolvere le situazioni problematiche. Si ritiene inoltre che ogni individuo abbia una sua soglia di vulnerabilità agli stressors. Quando questi la oltrepassano e la persona non li affronta con un comportamento socialmente abile allora si rischia l’insorgenza della malattia mentale.
Secondo molti studiosi vi è una significativa relazione fra il modo di fronteggiare gli eventi stressanti ed il cancro. La tendenza a “tenersi tutto dentro” con incapacità di far esplodere le proprie collere e reprimere costantemente l’espressione delle emozioni – soprattutto di quelle socialmente sconvenienti, quindi rabbia e aggressività in primo luogo – si tradurrebbe in una troppo ripetuta iperattivazione del sistema neurovegetativo, la qual cosa, secondo le teorizzazioni sullo stress, porterebbe alla lunga ad una compromissione dell’efficienza della risposta immunitaria[4] con riduzione dei linfociti, del volume delle ghiandole linfatiche e del timo[5] (sede dei linfociti T). Diversi studi a tutt’oggi effettuati ipotizzano che il tumore è più raro tra i popoli primitivi, che sono stati meno sottoposti a stress ambientali, rispetto alle popolazioni più progredite e che un ruolo determinante, nell’ammalarsi o meno, lo svolge il sistema immunitario che, nell’uomo civilizzato e sottoposto agli stimoli stressanti del “disagio della civiltà”, direbbe Freud, riduce la sua efficacia di azione. Inoltre Seligman, a conforto di una diffusa tesi per cui l’ottimismo previene le patologie tumorali[6] dimostra come la mente è in grado di influenzare la malattia attraverso il sistema immunitario che si deprime con la riduzione dell’attività delle cellule T e NK.
Altre conseguenze di un mancato o deficitario fronteggiamento abile dell’evento stressante le riscontriamo in una nutrita schiera di malattie infettive come diretta conseguenza della depressione della risposta immunitaria e patologie cronico degenerative, tanto per citare quelle maggiormente evidenti. Il sistema immunitario di cui circa il 45% si trova nell’intestino, dipende infatti dal sistema nervoso centrale, che influisce sia sulla temperatura sia sul flusso sanguigno, e dal sistema ormonale. Si riscontra dunque una interazione tra il cervello e l’intestino (secondo la tradizione popolare considerato il nostro secondo cervello, il “cervello viscerale”) entrambi influenzati dagli eventi stressanti ed entrambi producenti quelle sostanze biochimiche (noradrenalina, acetilcolina, dopamina e serotonina[7]) che influenzano sia gli stati d’animo sia il funzionamento intestinale. Per cui se l’evento stressante interessa sia il cervello sia l’intestino, esso va affrontato in maniera integrata considerando le funzioni di entrambi gli organi e le loro interferenze per evitare la probabilità di malattie causate da un sistema immunitario depresso. Da qui anche mantenere il proprio intestino in salute significa precedersi cura del proprio organismo.
Infine a lungo andare eventi stressanti continuativi senza una adeguata risposta di fronteggiamento abile accelerano il processo di invecchiamento con evidente usura fisica e psicologica in quanto inducono la formazione di acidità nel corpo (acidosi tissutale): i nutrienti vengono bruciati in fretta producendo un accumulo di residui o rifiuti acidi che il nostro corpo non è in grado di eliminare. Tale situazione favorisce la depressione del tono dell’umore.
I RIMEDI
Per coloro i quali si riconoscono in uno dei disturbi sopra citati, se pur di lieve entità, la cura è solitamente psicoterapica, preceduta da una scrupolosa valutazione clinica dei sintomi ed una attenta analisi degli stressors subiti. Nel caso di esposizione frequente o con continuità temporale ad eventi stressanti è consigliabile sottoporsi a visita psicologica specialistica per favorire una eventuale diagnosi precoce delle psicopatologie da stress al fine di evitare possibili complicazioni o cronicizzazioni anche di una reazione allo stress apparentemente banale. Quanto mai per questo genere di disturbi vale il principio che prevenire è meglio di curare. Infatti la cura delle patologie da stress non è definitiva e risolutiva: il paziente, una volta ristabilitosi, ha bisogno di un trattamento per la prevenzione delle ricadute (terapia di mantenimento) considerando che la ricaduta per certe patologie è frequente. Inoltre quasi tutte le patologie da stress, anche le stesse malattie mentali, si possono prevenire. Pochi lo fanno, ma solitamente quando si riscontra che le proprie prestazioni fisiche ed intellettive stanno per scadere, che non si è più come prima, che il proprio benessere psicofisico è compromesso allora ci si rivolge allo psicoterapeuta, in genere quasi sempre tardivamente quando il disturbo originario si è ormai complicato. Come ci si sottopone a dei programmi di profilassi medica tipo vaccinazioni o cure ricostituenti per evitare il rischio di malattie allo stesso modo ci si può sottoporre a programmi di psicologia preventiva (psicoprofilassi) soprattutto consigliati a chi frequentemente si espone o dovrà in un prossimo futuro esporsi a situazioni stressanti. Gli interventi di psicologia preventiva per persone che non ancora hanno subito i danni causati dagli stressors si sviluppano in due momenti. In una prima fase l’interessato si sottopone ad un check up psicodiagnostico in cui si accerta l’eventuale presenza di vulnerabilità psicobiologica e, con specifici test, il livello di competenze sociali della persona in vari ambiti sociali in modo da identificare precocemente le persone ad alto rischio di contrarre patologie da stress. Si valutano pure eventuali segni aspecifici di reazione a situazioni stressanti come ad esempio disturbi del sonno, dell’alimentazione, tensioni e dolori muscolari, irritabilità che possono essere i segni precoci di un episodio di malattia. Inoltre in questa prima fase si analizzano pure gli eventi stressanti passati ed attuali della persona considerando che è possibile misurare il grado degli eventi di vita stressanti (morte, divorzio, separazioni, licenziamenti, malattie, perdite, ecc.) secondo specifiche scale e check list di valutazione psicologica (v. Cap. V) e prevedere eventuali rischi patologici. In certi casi si può misurare pure il grado di stress familiare quantificato a seconda dell’”emotività espressa”.
La seconda fase riguarda l’attuazione di strategie individualizzate di intervento predisposte ed organizzate in base alle informazioni raccolte in ambito valutativo. Il trattamento psicopreventivo per la gestione adattiva dello stress si rivolge non tanto alla modificazione degli stressors quanto alla modificazione di abilità di fronteggiamento di tali stressors, a livello cognitivo per quanto riguarda l’interpretazione delle situazioni problematiche, a livello comportamentale per l’assunzione di competenze comunicative verbali e non verbali abili e a livello neurovegetativo e neuromuscolare per tecniche di autoconsapevolezza ed autocontrollo della tensione muscolare.
Quanti però, pur incalzati da eventi stressanti, coltivano l’illusione dell’invulnerabilità pensando che i disturbi non capiteranno a sé, ma agli altri?
(da Paolo Zucconi, 2011, IL MANUALE PRATICO DEL BENESSERE, Ipertesto Edizioni, Verona)
Psicoterapeuta Comportamentale
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