Prima di affrontare il delicato argomento del Pranayama è necessario soffermarsi un po’ sull’atteggiamento psico-fisico che il praticante deve assumere durante la pratica.
A questo fine vi sono tre parole chiave che possono dare una linea di comportamento: postura, tensione, respiro.
LA POSTURA
La postura è la base, il fondamento che sorregge la pratica. Sia che si tratti di tecniche di Pranayama, di concentrazione o di tecniche meditative, il praticante deve prestare particolare attenzione alla postura.
Egli, seduto in Siddhasana, nel Loto, nel semiloto o in altre posizioni idonee alle tecniche da eseguire deve curarsi di tenere la colonna vertebrale ben diritta, ma senza eccessiva durezza. La quinta vertebra lombare è leggermente sospinta in avanti, al fine di favorire una giusta base di appoggio sulla zona sacrale e favorire la circolazione dell’energia lungo tutta la colonna vertebrale.
Le spalle sono rilassate, il mento leggermente tirato in dentro e la nuca spinta verso l’alto. Le braccia e le mani, qualunque sia il mudra che si sta assumendo, sono rilasciate.
TENSIONE
Un altro particolare di grande importanza è la giusta tensione da tenere durante la pratica, il trovarla è frutto dell’esperienza personale.
Il corpo non dovrebbe essere troppo rilassato, quasi si fosse senza spina dorsale o senza ossa, cosa che da’ l’impressione, ad un osservatore esterno, di guardare un budino.
D’altro canto non vi dovrebbero essere eccessive tensioni: muscoli troppo contratti, nervi tesi, mascelle serrate, o altro.
La giusta tensione è rappresentata da una forza interiore che rende il corpo del praticante vivo e presente.
RESPIRO
Il respiro, quando non si praticano particolari tecniche di Pranayama, dovrebbe essere naturale, rilassato e profondo, ma coloro che praticano Yoga da un po’ di tempo sanno quanto questo non sia una cosa tanto facile da raggiungere.
Il respiro di solito, è corto e superficiale, e circola nella parte superiore al diaframma. Spesso, in contrapposizione a questa “chiusura” respiratoria, il praticante si sforza di renderlo lungo e profondo con un atto di volontà, cosa che crea stanchezza e affaticamento. Vediamo quali possono essere le cause di un respiro corto e superficiale.
LA BARRIERA DEL DIAFRAMMA
Il diaframma non è solo un’insieme di fasci muscolari che separano gli organi addominali da quelli del torace o una pompa che aiuta il cuore nella circolazione del sangue; esso è anche una barriera che divide le “regioni” inferiori del nostro essere da quelle superiori.
Il diaframma divide le potenzialità del piccolo Ego (sentimento, intelletto, volontà) situate nel torace e nella testa, da quelle della nostra Natura profonda che fa di noi esseri appartenenti ad una specie inserita in ritmi ben più vasti ed onnicomprensivi.
In pratica nella parte superiore al diaframma sono situati i centri dell’io individuale, che pensa di essere autonomo e distaccato, mentre nella parte inferiore vi sono quelli dell’io collettivo, dove regna l’unità.
Nella parte superiore è situata attualmente la consapevolezza della maggior parte degli individui, mentre la parte inferiore, sede degli istinti e del collegamento con la Natura è relegata nel regno del Subconscio. Quindi l’uomo, un tempo in armonia col resto del creato, sembra attualmente escluso dalla Natura, che per lui rappresenta oggi quasi un “Paradiso Perduto”.